domenica 7 agosto 2011

TERRAVECCHIA IN FOLK 2011


PIETRAMONTECORVINO (Fg) – Per la sua quinta edizione, il Terravecchia in Folk torna a farsi in tre e trasforma il centro medievale di Pietramontecorvino nel “Borgo della Musica”. Il 26, 27 e 28 agosto, la città della Torre Normanna celebrerà il proprio legame con la musica popolare e le sue evoluzioni, dallo ska al dub, dal reggae alla world music, passando per le tradizioni musicali di Puglia, Calabria e Molise. Proprio al Molise è dedicata una sezione della tre giorni col gemellaggio con il “Riccia Folk Festival” e il convegno cui parteciperanno l’etnomusicologo Vincenzo Lombardi, il direttore della rivista “Fortore” Antonio Santoriello e il gruppo dei Musicanti della Memoria. Terravecchia in Folk sarà il contenitore di tre diversi momenti musicali e artistici: ARTinSTRADA, FOLKinCORSO e TERREinMOTO. I tre giorni saranno inaugurati il 26 agosto da un triplo appuntamento: alle 20, ai piedi della Torre Normanna, le voci e le storie della tradizione popolare calabrese troveranno corpo e anima nel cantastorie Nando Brusco; alle ore 21, il concerto di Coquette Band nel Giardino Pensile; alle 22.30 la Banda Adriatica. Ancora più ricco il programma di sabato 27 agosto con l’apertura di FOLKinCORSO dedicata a “La tarantella del Gargano” (dalle ore 15 lo stage gratuito ad opera di Tarantula Garganica nella Sala delle Stalle di Palazzo Ducale) e alla “Costruzione dei flauti di canna” a cura dell’associazione “A crap z’è sciot” (dalle ore 15 nei locali della Torre). Alle 20.30, il programma del 27 agosto proseguirà con il concerto itinerante di Conturband, mentre alle 22 e alle 23.30 saranno i Bisca e Tarantula Garganica a far vibrare il borgo di musica e danze. Chiusura in grande stile quella di domenica 28 agosto con “La musica del Vesuvio” (A’ Paranza R’o Lione), il convegno e l’incontro musicale di “Ospitando il Molise”, il gemellaggio con il “Riccia Folk Festival”, i Musicanti della Memoria, i Maitunat, il Francesco Loccisano Quartet e il concerto di Enzo Avitabile e i Bottari.
I concerti, così come gli stage di musica, danza e canto sono gratuiti: per le iscrizioni, terravecchiainfolk2@libero.it. Quest’anno, il Terravecchia in Folk fa parte di Daunia Felice, la rete dei festival di Foggia e dei Monti Dauni.

A CRAP Z’È SCIOT offre in occasione del Festival, corsi per imparare a costruire flauti di canna, basati sulle pratiche costruttive del mondo agro-pastorale del territorio.
Riteniamo importante mantenere un sentire che non rimanga prerogativa di un universo in estinzione, e tramandare una conoscenza che dia gratificazione nel creare con le proprie mani un mezzo che comunichi identità.
I laboratori si terranno il 27 e 28 agosto nell’area Festival a partire dalle ore 16. Tratteremo dalla scelta e raccolta delle canne agli accorgimenti tecnici per l’intonazione dello strumento.
 Alcuni flauti di canna realizzati da un anziano costruttore locale.

martedì 12 luglio 2011

FORTORE

È uscito il secondo numero di Fortore. Il periodico, edito dall’Associazione Trediciarchi, è un progetto editoriale che nasce dalla consapevolezza, ormai diffusa, di un territorio dalle indiscutibili caratteristiche simili e da una evidente omogeneità culturale con innesti e contaminazioni che vanno dalle tradizioni alla gastronomia, dai riti al dialetto.
L’Associazione, con sede a Riccia, ha come fini quelli di svolgere attività di studio, di ricerca, di informazione e di documentazione per favorire la conoscenza dell’area del Fortore nella sua estensione extra regionale e contribuire sia al recupero del patrimonio storico, artistico, demoetnoantropologico, archeologico, naturalistico e ambientale, sia alla riscoperta di una comune identità che trova fondamento nelle affinità etniche, culturali ed economiche della popolazione presente sul territorio.
Fortore vuole diventare un mezzo e una nuova voce attraverso cui confrontarsi, dibattere ed elaborare proposte. Essere uno strumento di promozione dei paesi fortorini, facendoli scoprire o riscoprire anche da chi lo popola, affinché insieme possa svilupparsi una coscienza delle potenzialità dell’area oltre i confini amministrativi assegnati.
Diretto da Antonio Santoriello, il periodico si avvale del contributo di professionisti e di collaboratori che da anni vivono e operano in una realtà troppo a lungo dimenticata dai palazzi della politica, ma che proprio da questo provocato “isolamento” potrebbe ritrovare linfa vitale per una rinascita ancorata a valori ancora integri al suo interno.
Il giornale è distribuito gratuitamente nelle edicole e nei locali pubblici dei trenta comuni ricadenti nell’area fortorina del Molise, della Puglia e della Campania.
Il nuovo numero, ricco di notizie e di articoli che fanno conoscere approfonditamente aspetti poco noti e attrattive delle nostre comunità, contiene anche un pezzo di Michele Bianchi riguardante “A Vecchij” e “La Terra che si rinnova”, di seguito integralmente riportato:

A Vecchij/La Vecchia
Un antico rito agrario pre-cristiano rivive a San Marco la Catola grazie all’Associazione “A crap z’è sciot”

A partire dal 2007 il mese di marzo, nel comune di San Marco la Catola, è caratterizzato da una manifestazione che vede la presenza di studiosi, ricercatori e professori di Antropologia e di Tradizioni Popolari provenienti dal mondo accademico italiano. Il motivo che nel corso degli anni ha portato a sedere allo stesso tavolo di discussione professori del calibro di Paolo Apolito, Luigi Maria Lombardi Satriani, Fabio Mugnaini, Patrizia Resta e Vincenzo Spera, solo per citarne alcuni, è dato dall’incontro a tema fisso: La Terra che si rinnova. Religiosità arcaica nel folklore contemporaneo. Il convegno costituisce la conclusione del calendario di appuntamenti, compresi quelli musicali, legati alla festa de A Vecchij, una festa-rito di metà Quaresima la quale, dopo essere quasi del tutto scomparsa nel vissuto sammarchese, è stata ripresa e ritradizzionalizzata. Il momento centrale della festa è costituito da una performance teatrale che vede come protagonisti giovani sammarchesi in veste di medici impegnati nel segare il fantoccio della Vecchij e nel commentare sarcasticamente gli oggetti estratti dall’addome della “paziente” (pietanze, attrezzi da lavoro, interiora di animali, cianfrusaglie, caramelle e dolcetti per i bambini); battute, gags e colpi di scena divertenti intrattengono il pubblico accorso a vedere. L’importanza ed il significato che assume la maschera della Vecchia di metà quaresima nel mondo contadino è testimoniato da molta tradizione degli studi demologici ed antropologici. Le pratiche legate alla maschera della Vecchia si inserivano in un complesso rituale e simbolico che vedeva in questi riti, come afferma M. Fresta, “gli elementi di un rito agrario pre-cristiano, dove il periodo di rappresentazione coincide con il passaggio dall’inverno alla primavera, … quando la resurrezione del mondo agricolo veniva preparata dal sacrificio cruento di un uomo”. Sebbene questo mondo simbolico e rituale non appartiene già da tempo alla nostra società, tantomeno alla comunità sammarchese, la festa de A Vecchij, come molti altri appuntamenti festivi, ha avuto negli ultimi anni nuova vita grazie al lavoro e alla volontà delle associazioni locali, tra queste “A crap z’è sciot”, che si è fatta carico degli aspetti organizzativi e logistici. Senza entrare nelle dinamiche sociali che hanno caratterizzato la genesi e lo sviluppo della festa nel contesto sammarchese odierno, possono essere evidenziati alcuni elementi. Una delle peculiarità è da ricercare necessariamente nella funzione che il convegno assume nell’economia della festa. L’idea di organizzare un incontro che possa sviluppare una comprensione maggiore della festa, costituisce un punto centrale dell’opera di ripresa a partire dal 2007. Per comprendere questa volontà è necessario sottolineare innanzitutto un cambiamento della natura degli attori sociali protagonisti di queste pratiche: i nuovi portatori sono in genere giovani che maturano il proprio vissuto di esperienze fuori dal proprio contesto di origine. Questo vale ancora di più oggi, dove ad una distanza “spaziale” ne va aggiunta una “socio-temporale”.
Ciò che divide gli attori sociali dai contesti di riferimento simbolico dai quali attingere elementi culturali (che vengono poi ri-assunti e nuovamente elaborati) non è dato solamente dalla diversità di vissuto quotidiano rispetto al passato contadino. La “lontananza socio-temporale” si qualifica nei termini di cesura delle radici contadine passate e dalla volontà di rimozione collettiva di una memoria fatta di sacrificio, difficoltà socio-economiche e sfruttamento. Riprendere e ri-organizzare una festa di matrice contadina si traduce così in bisogno, tanto politico quanto sociale, di ricostruzione comunitaria e di ri-acquisizione di memoria; di ri-contrattazione della storia passata e di messa in discussione dei paradigmi economico-sociali legati alla società del consumo contemporanea. All’interno di questo orizzonte sociale il convegno in primo luogo soddisfa la necessità di comprensione e di conoscenza della festa. In secondo luogo costituisce una forma di legittimazione, tanto interna quanto esterna alla comunità: nel momento in cui si cerca di riprendere o rivitalizzare una festa il riconoscimento da parte di una fonte autorevole (in questo caso l’Università) offre legittimità e conferma la validità del lavoro svolto fino ad oggi. Ponendosi infine come valore aggiunto di un appuntamento che si presenta al territorio, il convegno richiama l’attenzione dei media regionali, i quali a loro volta aumentano il valore simbolico della festa nelle sue molteplici sfaccettature. Nell’ultima edizione, svolta lo scorso 27 marzo, gli interventi tenuti dalle professoresse Laura Bonato, dell’Università di Torino e Francesca Scionti, di quella di Foggia, hanno sottolineato come i giovani, oggi agenti del “rito” della Vecchij, grazie ai movimenti, ai rapporti di collaborazione instaurati nel tempo e alla consapevolezza maturata da una continua documentazione, riescano ad elaborare un prodotto culturale inedito e una riproposta che assume una propria unicità socio-culturale.

Michele Bianchi


giovedì 26 maggio 2011

2 GIUGNO A TROIA


FESTA DEGLI ANTICHI MESTIERI E DELLE TRADIZIONI POPOLARI

Ben 32 tra associazioni e circoli culturali, gruppi folk, enti locali, associazioni di categoria e imprese dei Monti Dauni coinvolte nella manifestazione

“L’Italia è una Repubblica democratica, fondata sul Lavoro”. Per questo a Troja un folta schiera di associazioni e circoli culturali, pro loco, enti locali, associazioni di categoria, gruppi folk e imprese del territorio hanno deciso di festeggiare il 2 Giugno, Festa della Repubblica, celebrando il lavoro e i lavoratori d’un tempo.  Un nutrito gruppo di artigiani Giovedì 2 Giugno animerà a Troja la prima “Festa degli Antichi Mestieri e delle Tradizioni Popolari”. Per le stradine del centro storico di Troja ritroveremo personaggi del passato come lo scarparo, lo stagnino, il vasaio, il maniscalco, il cantastorie, il banditore, l’impagliasedie, la filatrice, la ricamatrice, il cestaio, il falegname, il fabbro-ferraio, lo zampognaro, la sarta, il barbiere, il fornaio. In Piazza Cattedrale sarà allestita "L'Aia in piazza", dove gli allevatori Luca di Ruberto, Antonio Tricarico e Mauro Romano porteranno bufali, capre, tori, cavalli ed animali di bassacorte oltre ad un ampia esposizione di antichi attrezzi agricoli a cura dei soci di Coldiretti e Confederazione Italiana Agricoltori. Un gruppo di giovani rievocherà inoltre i “Giochi di una volta”, tratti da uno studio di Elena D’Alessandro.

La mattinata poi sarà arricchita da musica in piazza in compagnia delle associazioni culturali “A Crap z’è Sciot” di San Marco la Catola, “Terravecchia in Folk” di Pietramontecorvino e “I Maitunat” di Pietracatella. Due mostre d’arte avranno luogo tra le strade e gli slarghi del borgo: un mostra di oltre trecento Foto d’Epoca sui primi del Novecento a Troja a cura di Mario Rosario Donnini e Dino Curci ed una mostra d’arte pittorica con la partecipazione di 15 artisti dell’Accademia delle Belle Arti di Foggia. A pranzo ritroveremo  “Il cibo di una volta” in due percorsi enogastronomici che si snoderanno lungo tutto il paese e proporranno ai visitatori le prelibatezze della tradizione gastronomica locale. L’iniziativa vedrà alle prese con le antiche ricette i forni “Zurlo” e “Capano & Varo”, i ristoranti tipici “Fra due Terre”, “D’Avalos” e “Alba d’Oro”, l’Agriturismo “Montaratro”, i produttori di vino “Le terre del Catapano – SPQT” e “Monsignore” e infine le pasticcerie “Casoli” e “Aquilino”.

Nel pomeriggio, assisteremo ad un dibattito su: “Il lavoro in una società che cambia: Antichi Mestieri e nuove opportunità” con Giovanni Guadagno dell’associazione culturale “La Melagranata”, Antonio D’Amico, segretario nazionale della Federazione Italiana Tradizioni Popolari, Alberto Casoria, presidente del GAL “Meridaunia” e Edoardo Beccia, sindaco di Troja. Ad inframmezzare il dibattito vi sarà una lettura in piazza di "Racconti d’un Tempo" tratti dal volume “C’era una volta” di Antonio Colella e una lettura di poesie in vernacolo di Mario Velluto, interpretate da Dina Ciullo. La manifestazione terminerà in serata con una Festa in Piazza, animata dal concerto musicale degli “UNZA UNZA BAND” e da una Grigliata di Bufalo offerta dall’azienda agrizootecnica “Serra dei Bisi”. Il tutto accompagnato, naturalmente, dal buon Nero di Troja.

Per info: turismo.montidauni@gmail.com                            www.actmontidauni.it

Tel. 0881/970020



L'iniziativa è organizzata da A.c.t! Monti Dauni - Associazione Culturale & Turistica, l'Associazione "La Melagranata", le Pro Loco di Troja e Orsara, l'Associazione "A.P.G" di Troja, il Circolo "Antonio Salandra", la Coldiretti, la Confederazione Italiana Agricoltori, le associazioni culturali "Terravecchia in Folk" di Pietramontecorvino, "A Crap z’è Sciot" di S. Marco La Catola, "I Maitunat" di PIETRACATELLA, con il patrocinio del Comune di Troia e della Provincia di Foggia, con il partenariato del GAL "Meridaunia", del distretto Culturale "Daunia Vetus", della Federazione Italiana Tradizioni Popolari e del Centro Studi Tradizioni Popolari "Terra di Capitanata".


martedì 29 marzo 2011

GRAZIE!

L'Associazione Culturale A CRAP Z’È SCIOT ringrazia sentitamente tutti coloro che hanno contribuito alla buona riuscita della festa de "A VECCHIJ".
Ringrazia particolarmente quanti ci hanno aiutato nell'organizzazione dell'evento, quanti ci hanno sostenuto moralmente ed economicamente, quanti hanno suonato, cantato e ballato, quanti hanno ospitato la vecchia a casa loro, quanti si sono divertiti, quanti si sono ubriacati, quanti sono venuti dagli altri paesi, insomma quanti hanno contribuito a creare un atmosfera conviviale serena e festaiola, senza tutte queste persone non sarebbe stata la stessa cosa.

Riconoscenti
A CRAP Z’È SCIOT

giovedì 24 febbraio 2011

A VECCHIJ 2011


A Vecchij è una manifestazione popolare carnevalesca di tipo celebrativo svolta nel periodo quaresimale comunemente conosciuta come “sega la vecchia”, nella quale un fantoccio dalle sembianze di una vecchia viene segato e smembrato, ritrae e testimonia quegli aspetti della cultura contadina che rappresentava, in una dimensione festiva ritualizzata, la transizione stagionale dall’inverno alla primavera, della ciclica morte e rinascita della natura.

Riguardo l’aspetto storico e culturale di questo rito si svolgono dal 2007 dei convegni/dibattiti sul folklore tradizionale e sulla contemporaneità a cui prendono parte docenti universitari di Antropologia e di Tradizioni Popolari.


San Marco la Catola (FG) - Edizione 2011 

A CRAP Z’È SCIOT

con

Associazione Culturale “i Maitunat” di Gambatesa
Associazione Culturale Musicale "Terravecchia in Folk" di Pietramontecorvino
Università degli Studi di Foggia
GAL Meridaunia
Comune di San Marco la Catola
Provincia di Foggia


PROGRAMMA

Sabato 26 Marzo – ore 21.00
C.so V. Emanuele

Il rito della vecchia che viene segata
e la musica popolare del gruppo
UNZA UNZA BAND


Domenica 27 Marzo – ore 10.00
Auditorium San Giacomo

Quinto Convegno:

LA TERRA CHE SI RINNOVA
Religiosità arcaica nel folklore contemporaneo

Interventi:

Michele FASCIA Sindaco di San Marco la Catola
Alessandro MICHELACCI Vicesindaco di Forlimpopoli "LA SEGAVECCHIA"
Alberto CASORIA Presidente GAL Meridaunia

Relatori:

Laura BONATO
Docente di Antropologia Culturale, Università degli Studi di Torino
PENDOLARI E IMPRENDITORI DI CULTURA
Dalle politiche culturali alla promozione territoriale

Francesca SCIONTI
Ricercatore, Università degli Studi di Foggia
L’IMMAGINARIO DEI GIOVANI SULLA FESTA
Tra innovazione e tradizione
                                                                                                  

FUORI PROGRAMMA

Sabato 26 Marzo – ore17.00
Per le vie del paese

Assolutamente da non perdere!

Processione della vecchia per le vie del paese accompagnati dai suonatori della tradizione popolare de
"I MAITUNAT" di Gambatesa

Alla processione possono unirsi tutti gli appassionati e suonatori di musica popolare col proprio strumento.

Al termine della sfilata (ore 20.00 circa) pasta con ceci e vino per tutti.

Guarda le foto

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UNZA UNZA BAND

La Unza Unza band nasce nell’aprile 2005 da un’idea di Pierluigi Vannella. L’intento era (ed è) quello di fare una musica che rallegrasse tutti: canti popolari del gargano (in particolare Matteo Salvatore) riarrangiati con ritmi zingari e unza (in levare), tarantelle (tradizionali), tanghi vari, musiche da circo per dare quel tocco d’ironia che nella vita ci vuole. La band ha girato in questi  anni le varie piazze e i vari pubs della provincia e non solo. La formazione è cambiata diverse volte e per le diverse occasioni.
...a cos’ bell è che anch se sò cagnat paricchie cos...a sustanze è semp a stess: ciamma ddvert e amma fà dvertì pcche i uaje ndò munne sò ssaje e a gente quanne c sent adda stà bun e s’adda pigghià bell!
Il gruppo per le festa della vecchia suonerà in trio:

Pierluigi Vannella - chitarre, voce, cavaquinho
Guido Longo - fisarmonica e cori
Giammaria Preziuso - percussioni e cori
Eseguiranno brani di Matteo Salvatore riarrangiati e resi più ballabili e coinvolgenti e brani tradizionali del Gargano, dei Monti Dauni e dei Balcani.



I MAITUNAT DI GAMBATESA

(a cura di Luca D’Alessandro)
1. Introduzione alle “maitunat” e premessa metodologica.
E’ il giorno del 31 dicembre, la vigilia di capodanno. A Gambatesa, borgo fortorino di 1700 anime, si sente nell’aria che non sarà il solo passaggio dal vecchio al nuovo anno ad essere festeggiato, ma qualcosa di molto più sentito e particolare, di unico e speciale.
Chiara è la percezione che una grande e lunga attesa sta’ per concludersi, e, se è vero che i luoghi si caricano delle sensazioni di coloro che vi abitano, prendendone la forma e propagandone l’aurea, si ha la netta impressione che qualcosa è in procinto di avvenire, forse una fragorosa e colorata esplosione folcloristica, magari la stessa del medesimo giorno dell’anno precedente e chissà di quanti altri “31 dicembre” andando indietro per lustri e secoli: l’intero paese, dopo un anno d’attesa, è pronto a reimmergersi nella secolare tradizione delle Maitunat’. Per le strade del borgo il movimento è continuo: gli antichi strumenti artigianali vengono affinati e personalizzati, le “squadre” vengono completate, l’appuntamento è fissato. Giunta l’ora di cena, l’antico rito delle maitunat’ è pronto per essere nuovamente ripetuto. Lo spettacolo può finalmente iniziare e il divertimento più puro, originale e popolare sta per essere esaltato e festeggiato.
L’antico stornello risuona ovunque e in un vortice di musica canti e balli, le varie “squadre” si esibiscono per tutto il paese generando un’atmosfera festosa, calda e coinvolgente. Giovani, anziani, adulti e bambini, si dilettano nell’improvvisare le Maitunat’ prendendo di mira, in tono scherzoso e canzonatorio, i padroni delle case in cui si recano. Godendo di una tacita immunità, limitata ai soli due giorni della manifestazione, vengono messi alla berlina, non solo personaggi pubblici della vita paesana, ma anche gente normale con qualche scheletro nell’armadio o i protagonisti di qualche episodio eclatante. Non c’è casa di poveri o ricchi, umili o potenti, ignoranti o dotti, che si rifiuti di ascoltare le Maitunat’ e concedere ospitalità. Ogni cantore, accompagnato dalla sua squadra, crea le sue rime estemporaneamente secondo il suo caratteristico stile che lo contraddistingue dagli altri rendendolo unico.
I temerari chiudono l’intensa nottata a mattino inoltrato, gli altri alle prime luci dell’alba.
Per qualche ora del tardo mattino del primo gennaio sembra che tutto sia cessato, la quiete dopo la tempesta, il meritato riposo dopo una nottata fredda e faticosa. E’ solo calma apparente perchè nel primo pomeriggio si rincomincia: ancora musica, maitunat’ e canzoni popolari.
Tutte le squadre protagoniste della notte sono pronte a sfidarsi davanti al pubblico, salendo a turno sul palco, ed esibendosi in brani strumentali o cantati e maitunat’. I cantori devono dare il meglio e sfoderare il loro miglior repertorio per ambire alla “Sonagliera d’oro”, che premierà il migliore, ma soprattutto per soddisfare e divertire l’esigente platea.
Terminate le premiazioni e chiusa la manifestazione, in paese ritorna la normale atmosfera di quiete, questa volta però non sarà interrotta… almeno fino alla vigilia del prossimo nuovo anno.
Descrivere un fenomeno folcloristico come quello delle maitunat’ o analizzarlo in modo scientifico cercando di estrapolare da esso i vari aspetti antropologici, sociali, culturali, rituali non è affatto cosa facile se si pensi di quanta spontaneità, animo popolare, provenienza “dal basso” esso sia intriso. Cosa ancor più ardua è quella di spiegare la tradizione a chi non ha mai preso direttamente parte , non l’abbia vissuta a seguito delle “squadre” (cioè i gruppi musicali) o non si sia calato nella particolare atmosfera della notte del capodanno gambatesano; in questo senso il rischio è cadere nella banalità, di non riuscire a renderne l’idea o ad esprimerne l’animus che contrassegna i protagonisti e quello degli spettatori. Se a tutto ciò vogliamo aggiungere l’incertezza storica delle origini e delle funzioni (quindi la ratio), l’aleatorietà che ogni fenomeno di tradizione orale si porta dietro, la mancanza di fonti scritte a supporto di una tesi plausibile che sia il frutto di un metodo sperimentale etnomusicologico, ecco connotate la difficoltà di inquadrare le maitunat’ in uno schema dogmatico preciso.
La descrizione precedente, leggermente intrisa di romanticismo con lo scopo di catapultare il lettore nell’atmosfera della tradizione, sarà seguita da una trattazione che sistematicamente si articolerà tra l’etimologia della parola, il significato della tradizione, l’evoluzione delle maitunat’ di Gambatesa, le caratteristiche fondamentali, i personaggi chiave delle “squadre” e infine l’evoluzione dello stornello.
2. Etimologia della parola “maitunat’ ”, origini, significato.
Sono diversi i significati assegnati alla parola “maitunat’ “. Le differenti ipotesi etimologiche che si sono avvicendate hanno tutte seguito percorsi diversi, spesso superficiali, come il tentativo di accostare la parola “maitunat’” (meglio “maintunat”, nel nostro caso scritto “mai ‘ntunate”) alla locuzione “mai intonate” in nome dell’estemporaneità con la quale i cantori eseguono (solo a Gambatesa) la stornello in modo improvvisato. Tesi che può essere subito smentita se si considera il fatto che il termine “maitunat’” è utilizzato in molti altri paesi molisani nei quali lo stornello non è eseguito estemporaneamente e che, a Gambatesa stessa, prima della metà degli anni trenta non c’è traccia dell’improvvisazione, praticandosi il rito con stornelli precostituiti, ancora oggi conosciuti.
L’ultima ipotesi in ordine temporale ce la fornisce lo scrittore Antonio Fratangelo, studioso di lingua fenicia e grande sostenitore dell’ipotesi della presenza punica nell’area del Fortore, che ritrattando la sua prima versione (le origini delle “maitunat’” sono da ricercarsi nel teatro vivo di Plauto e Terenzio, alla farsa delle atellane, alla licenziosità dei fescennini) affermando che traducendo in fenicio il termine mtnt = “offerta” – “canti d’offerta”,si giungerebbe ad un soddisfacente risultato inquadrando il fenomeno nel vasto e variegato panorama dei riti del fuoco, quest’ultimo inteso come purificazione, rinnovamento rispetto al passato, e quale giorno migliore, se non quello in cui si ha il passaggio dal vecchio al nuovo anno, per lasciarsi alle spalle un corso di avvenimenti e iniziarne un’altro nel segno della positività?
Prendendo per buona questa affermazione emerge chiaro il riferimento ai c.d “canti di questua”, diffusi in tutta l’Europa mediterranea con i quali i questuanti offrono, in cambio di cibi e bevande da parte del padrone di casa, un augurio (per il nuovo anno o per un buon raccolto), intonando degli stornelli con auspicio propiziatorio. La caratteristica di “canto di questua” delle maitunat’è un elemento indiscutibile, ancora oggi vivo e oggettivamente rilevabile nella moderna pratica tale che , può considerarsi il punto di partenza e il pilastro di ogni trattazione in materia.
La seconda funzione delle maitunat’ si materializza alla stregua di uno strumento con il quale il popolo poteva esprimere, senza rischi, il proprio punto di vista (positivo o negativo), sempre e comunque in forma burlesca, nei confronti dell’autorità, con la speranza di un cambiamento positivo nell’anno seguente;

3. Le “maitunat’” di Gambatesa nel XX sec.: evoluzione e distacco dal “modus” tradizionale.
L’evoluzione delle maitunat’ nel ‘900, può essere suddivisa per semplicità in tre fasi distinte, delimitate ognuna da una serie di fattori che vanno dal diverso modo di interpretare le maitunat’, alle loro differenti finalità che hanno assunto nel corso del tempo, al modo di comporre le varie “squadre”, in quest’ultimo caso modificandone gerarchie e ruolo del cantore.
Una prima fase, della quale non può definirsi chiaramente l’inizio, termina all’incirca con l’avvento del primo conflitto mondiale (anni 1915-1920). Questo periodo è caratterizzato delle cosiddette “maitunat’ antiche”. La peculiarità, rispetto alle attuali maitunat’, riguarda principalmente il fatto che l’antico stornello, alternato ad un ritornello cantato e suonato, era precostituito e mancava quindi del requisito dell’improvvisazione. Al cantore spettava, oltre all’esecuzione canora vera e propria, il compito di scegliere il tipo di maitunat’ più adatta per la persona alla quale si rivolgeva e per l’argomento al quale intendeva riferirsi scegliendo tra un ventaglio di soluzioni abbastanza limitato.
Ogni maitunat’ conteneva un sottile doppio senso, naturalmente leggero, ironico e canzonatorio, che ne rappresentava la morale, quindi il messaggio principale che si voleva trasmettere.
Le maitunat’ c.d. antiche sono tipiche di moltissimi paesi del Molise in cui i canti di questua erano una prassi molto diffusa ed in qualche caso ancora esistenti. Muniti di fisarmoniche, organetti, chitarre, “bufù” (“putipù” o “caccavella”) e antichi strumenti a percussione di costruzione artigianale come “pakktell’”(due tavole con sonagli percosse tra loro), “sunaglier” (c.d. “triccheballacche”, sempre in legno con tre battenti muniti di sonagli), “strgulator” (tavola scanalata), le varie squadre si recavano nelle abitazioni dei personaggi più in vista del paese (non solo sotto il criterio economico e politico ma con riferimento alle persone più presenti e attive nella vita “rurale” di ogni giorno), e, godendo di una sorta di immunità, tacitamente concessa da tutti, potevano permettersi, anche se in modo sottile e mediato, di cantare vizi e virtù di queste persone autorevoli, inattaccabili nel corso dell’anno.
Le squadre erano formate da un numero di elementi difficilmente superava le dieci unità. Gli strumenti principali, oltre agli antichi arnesi artigianali a percussione tutt’ora utilizzati, erano la fisarmonica e l’organetto, ereditati dai padri o dai nonni e imparati in modo autonomo. Non esistevano, se non in rare eccezioni, trombe, tromboni, clarinetti, sax e fiati in generale per via del loro elevato costo non rapportabile al tenore di vita del tempo.
Una seconda fase, che arriva fino agli anni ’50, vede ancora il rinnovo delle maitunat’, soprattutto sotto il profilo dell’esecuzione. Dalle maitunat’ antiche, si passa alle gergalmente chiamate “semimoderne”. Il cambiamento, più che nei temi e nelle finalità, è soprattutto nelle parole e nella musica. Anche se ancora precostituite, c’è una mutazione dell’intera struttura ritmica e del contenuto delle strofe. Per tutta la seconda fase si continuano a praticare anche le “maitunat’ antiche” segno del non incisivo cambiamento a cui esse sono state sottoposte. Bisogna far presente che in questa fase già qualcuno (credo un’unica squadra), in modo pionieristico, abbozzava le moderne maitunat’. Questo è un esempio di come tali fasi non siano nette ma bensì sovrapposte tra loro.
La terza fase, diversamente dalla precedente, esprime un cambiamento radicale nel modo di comporre, interpretare e accompagnare musicalmente le maitunat'. Il nuovo stornello nasce nei primi anni ’30 (, si sviluppa negli anni ’50 fino a consolidarsi e scalzare l’antico rito negli anni ’60-‘70, giungendo intatto e genuino fino ai giorni nostri. La maitunat’ si rinnova in tutti i suoi elementi e caratteristiche: musica, ritmo, interpretazione, scopo, significato, metrica e rime. In ordine di importanza, la novità più lampante che si evince dal rinnovo, riguarda l’introduzione dell’improvvisazione e la conseguente difficoltà dell’interprete di cercare la giusta coppia di rime che, oltre a avere corrispondenza letterale, deve anche essere divertente e pungente in modo da suscitare l’approvazione dello spettatore. Il cantore, non deve più limitarsi a scegliere la maitunat’ più adatta tra un ventaglio di opzioni già precostituite, ma deve egli stesso introdurre l’argomento e improvvisare sul medesimo, ricorrendo a tutta la sua fantasia per riuscire a “colpire nel segno”. Di conseguenza, con l’introduzione dell’estemporaneità, le nuove maitunat’ danno luogo ad una severa selezione tra gli interpreti: non basta più avere una bella voce ed una discreta presenza scenica per cantare una maitunat’, ma bisogna avere il lessico dialettale adatto a trovare rime, la capacità di scovare aspetti nascosti del destinatario della maitunat’, la prontezza di abbinare termini rustici, proverbi, la creazione di doppi sensi, l’uso di “modi di dire” e soprattutto la conoscenza degli avvenimenti più importanti avvenuti in paese nell’ultimo anno.
E’ proprio grazie all’estemporaneità dell’interpretazione che le maitunat’ di Gambatesa si dissociano da tutte le altre elevandosi ad una vera e propria forma artistica di teatro vivo e improvvisato che richiede speciali abilità. Il forestiero resta stupito dalla capacità degli attori gambatesani nel trovare le rime che, allo stesso tempo, siano esatte, divertenti, convincenti, frizzanti e significative.
Ogni maitunat’ è preceduta dal c.d. “ritornell’”, un motivetto di nove misure in tempo ternario suonato da tutti i componenti della “squadra”, ripetuto due volte, con la funzione di introdurre la maitunat’. Successivamente il cantore si esibirà nel tradizionale canto supportato da una base ritmico-melodica, simile al “ritornello”, suonata da fisarmoniche, organetti, chitarre e percussioni “più delicate”, sulla quale il cantore improvviserà due strofe che, se precisamente composte, formeranno una coppia di endecasillabi in rima baciata, più la ripetizione dell’ultima strofa in coro con tutta la squadra, per chiudere la maitunat’. Così facendo è possibile far riferimento agli accadimenti in modo diretto, senza l’ausilio di frasi fatte che esprimono solo la morale, senza allusioni o fraintendimenti.
La composizione delle squadre è di molto cambiata rispetto ad alcuni decenni addietro, sia per quanto riguarda il numero dei partecipanti quanto agli strumenti musicali utilizzati. I gruppi sono molto più numerosi e grazie ad una fiorente tradizione bandistica sono stati integrati da strumenti a fiato di tutte le categorie (ottoni e legni) dando alla squadra un timbro sonoro completamente nuovo e originale.
4. Conclusione.
Scavare profondamente nella magia delle maitunat’, alla ricerca delle sue vere origini e discendenza, richiederebbe un approfondito studio e l’esame di varie e complicate fonti. Da un lato, si può affermare che pochi se ne sono interessati, che sono assenti quasi del tutto pubblicazioni rilevanti in materia, dall’altro, è grande l’attaccamento dei gambatesani alla loro tradizione di riferimento tanto che su una popolazione di 1600 abitanti ancora nel 2008-2009 sono stati più di 15 i gruppi musicali che hanno preso parte alla manifestazione, rappresentando tutte le età; tutti ignari del perché e del come sia arrivato a noi questo rito, ignari del significato, ignari di tutta la parte scientifica, antropologica e culturale, ma altrettanto sicuri che per loro non è capodanno se, la notte dell’ultimo dell’anno, non imbracciano i loro strumenti e scendono in strada a cantare e suonare.















Notizie dal sito: 

lunedì 24 gennaio 2011


"Il difficile non è raggiungere qualcosa, è liberarsi dalla condizione in cui si è"
                             (Marguerite Duras)




Un paese senza memoria
è un paese senza futuro.
Lo smarrimento della memoria
conduce al disastro.
Senza memoria
Non c’è prospettiva di futuro.

Mario Luzi

domenica 23 gennaio 2011

CRONOLOGIA A VECCHIJ


A VECCHIJ 2007   

Sabato 17 Marzo

Il rito della vecchia che viene segata e la musica popolare del gruppo SCIUR E PAPAGNE


Domenica 18 Marzo

Convegno:

LA TERRA CHE SI RINNOVA. Religiosità arcaica nel folklore contemporaneo

Interventi:

Matteo Fascia Sindaco di San Marco la Catola
Raffaele Di Gioia Deputato al Parlamento
Giuseppe De Leonardis Assessore Provinciale al Turismo

Relatori:

Luigi M. Lombardi Satriani
Ordinario di Antropologia Culturale, Università La Sapienza di Roma
FIGURE, PERSONE, COSE
Alcune riflessioni sullorizzonte folklorico tradizionale e sulla contemporaneità

Patrizia Resta
Ordinario di Antropologia Culturale, Università degli Studi di Foggia
LA TRADIZIONE NELLA GLOBALIZZAZIONE
Per una valorizzazione delle culture locali



A VECCHIJ 2008   

Sabato 1 Marzo

Il rito della vecchia che viene segata e la musica popolare del gruppo A MAITUNAT


Domenica 2 Marzo

Convegno:

LA TERRA CHE SI RINNOVA. Religiosità arcaica nel folklore contemporaneo

Interventi:

Matteo Fascia Sindaco di San Marco la Catola
Ernesto Cicchetti Presidente Comunità Montana dei Monti Dauni Settentrionali

Relatori:

Fabio Mugnaini
Docente di Storia delle Tradizioni Popolari, Università degli Studi di Siena
RITUALI CALENDARIALI E FORME ESPRESSIVE
Una comparazione con la tradizione toscana

Rosa Parisi
Docente di Antropologia delle Culture del Mediterraneo, Università degli Studi di Foggia
TRADIZIONE E MODERNITÀ NELLE FORME ESPRESSIVE POPOLARI DEL SUBAPPENNINO DAUNO

Giovanni Azzaroni
Docente di Antropologia dello Spettacolo, Università degli Studi di Bologna
RITO E TRADIZIONI POPOLARI ALLALBA DEL TERZO MILLENNIO



A VECCHIJ 2009   

Sabato 14 Marzo

Il rito della vecchia che viene segata e la musica popolare del gruppo TERETUPPETE


Domenica 15 Marzo

Convegno:

LA TERRA CHE SI RINNOVA. Religiosità arcaica nel folklore contemporaneo

Interventi:

Matteo Fascia Sindaco di San Marco la Catola
Nicola Vascello Assessore Provinciale al  Turismo

Relatori:

Paolo Apolito
Ordinario di Antropologia Culturale, Università degli Studi Roma Tre
LE FESTE, LE COMUNITÀ E IL MUTAMENTO 
Ripensamento della cultura tradizionale nella modernità

Patrizia Resta
Ordinario di Antropologia Culturale, Università degli Studi di Foggia
IMMAGINI IN MOVIMENTO
Impressioni visuali sulla festa



 A VECCHIJ 2010   

Sabato 13 Marzo

Il rito della vecchia che viene segata e la musica popolare del gruppo IL BUFÙ


Domenica 14 Marzo

Convegno:

LA TERRA CHE SI RINNOVA. Religiosità arcaica nel folklore contemporaneo

Interventi:

Michele Fascia Sindaco di San Marco la Catola
Leonardo Di Gioia Assessore Provinciale al  Bilancio

Relatori:

Patrizia Resta
Ordinario di Antropologia Culturale, Università degli Studi di Foggia
LA “VECCHIA” NELL’ETÀ CONTEMPORANEA
Fra aspetti funzionali e prassi simboliche

Vincenzo M. Spera
Professore di Storia delle Tradizioni Popolari, Università degli Studi del Molise
LA “VECCHIA” NELLE TRADIZIONI POPOLARI
Realtà e rappresentazione mitico-rituale



A VECCHIJ 2011  

Sabato 26 Marzo

Il rito della vecchia che viene segata e la musica popolare del gruppo UNZA UNZA BAND

Domenica 27 Marzo

Convegno:

LA TERRA CHE SI RINNOVA. Religiosità arcaica nel folklore contemporaneo

Interventi:

Michele Fascia Sindaco di San Marco la Catola
Alessandro Michelacci Vicesindaco di Forlimpopoli
Alberto Casoria Presidente GAL Meridaunia

Relatori:

Laura Bonato
Docente di Antropologia Culturale, Università degli Studi di Torino
PENDOLARI E IMPRENDITORI DI CULTURA
Dalle politiche culturali alla promozione territoriale

Francesca Scionti
Ricercatore, Università degli Studi di Foggia
L'IMMAGINARIO DEI GIOVANI SULLA FESTA
Tra innovazione e tradizione



A VECCHIJ 2012  

Sabato 10 Marzo

Il rito della vecchia che viene segata e la musica popolare dei gruppi I MAITUNAT e TERRAEMARES

Domenica 11 Marzo

Convegno:

LA TERRA CHE SI RINNOVA

Interventi:

Antonio Santoriello Direttore giornale FORTORE
Giuseppe Torre Comitato per la promozione del Patrimonio Immateriale
Alberto Casoria Presidente GAL Meridaunia

Relatori:

Patrizia Resta
Ordinario di Antropologia Culturale, Università degli Studi di Foggia
SEGARE LA VECCHIA PER SALVARE LA MEMORIA

Ferdinando Mirizzi
Ordinario di Antropologia Culturale, Università degli Studi della Basilicata
FESTE DI MEZZA QUARESIMA NELLA PROSPETTIVA DEI PATRIMONI IMMATERIALI