martedì 12 luglio 2011

FORTORE

È uscito il secondo numero di Fortore. Il periodico, edito dall’Associazione Trediciarchi, è un progetto editoriale che nasce dalla consapevolezza, ormai diffusa, di un territorio dalle indiscutibili caratteristiche simili e da una evidente omogeneità culturale con innesti e contaminazioni che vanno dalle tradizioni alla gastronomia, dai riti al dialetto.
L’Associazione, con sede a Riccia, ha come fini quelli di svolgere attività di studio, di ricerca, di informazione e di documentazione per favorire la conoscenza dell’area del Fortore nella sua estensione extra regionale e contribuire sia al recupero del patrimonio storico, artistico, demoetnoantropologico, archeologico, naturalistico e ambientale, sia alla riscoperta di una comune identità che trova fondamento nelle affinità etniche, culturali ed economiche della popolazione presente sul territorio.
Fortore vuole diventare un mezzo e una nuova voce attraverso cui confrontarsi, dibattere ed elaborare proposte. Essere uno strumento di promozione dei paesi fortorini, facendoli scoprire o riscoprire anche da chi lo popola, affinché insieme possa svilupparsi una coscienza delle potenzialità dell’area oltre i confini amministrativi assegnati.
Diretto da Antonio Santoriello, il periodico si avvale del contributo di professionisti e di collaboratori che da anni vivono e operano in una realtà troppo a lungo dimenticata dai palazzi della politica, ma che proprio da questo provocato “isolamento” potrebbe ritrovare linfa vitale per una rinascita ancorata a valori ancora integri al suo interno.
Il giornale è distribuito gratuitamente nelle edicole e nei locali pubblici dei trenta comuni ricadenti nell’area fortorina del Molise, della Puglia e della Campania.
Il nuovo numero, ricco di notizie e di articoli che fanno conoscere approfonditamente aspetti poco noti e attrattive delle nostre comunità, contiene anche un pezzo di Michele Bianchi riguardante “A Vecchij” e “La Terra che si rinnova”, di seguito integralmente riportato:

A Vecchij/La Vecchia
Un antico rito agrario pre-cristiano rivive a San Marco la Catola grazie all’Associazione “A crap z’è sciot”

A partire dal 2007 il mese di marzo, nel comune di San Marco la Catola, è caratterizzato da una manifestazione che vede la presenza di studiosi, ricercatori e professori di Antropologia e di Tradizioni Popolari provenienti dal mondo accademico italiano. Il motivo che nel corso degli anni ha portato a sedere allo stesso tavolo di discussione professori del calibro di Paolo Apolito, Luigi Maria Lombardi Satriani, Fabio Mugnaini, Patrizia Resta e Vincenzo Spera, solo per citarne alcuni, è dato dall’incontro a tema fisso: La Terra che si rinnova. Religiosità arcaica nel folklore contemporaneo. Il convegno costituisce la conclusione del calendario di appuntamenti, compresi quelli musicali, legati alla festa de A Vecchij, una festa-rito di metà Quaresima la quale, dopo essere quasi del tutto scomparsa nel vissuto sammarchese, è stata ripresa e ritradizzionalizzata. Il momento centrale della festa è costituito da una performance teatrale che vede come protagonisti giovani sammarchesi in veste di medici impegnati nel segare il fantoccio della Vecchij e nel commentare sarcasticamente gli oggetti estratti dall’addome della “paziente” (pietanze, attrezzi da lavoro, interiora di animali, cianfrusaglie, caramelle e dolcetti per i bambini); battute, gags e colpi di scena divertenti intrattengono il pubblico accorso a vedere. L’importanza ed il significato che assume la maschera della Vecchia di metà quaresima nel mondo contadino è testimoniato da molta tradizione degli studi demologici ed antropologici. Le pratiche legate alla maschera della Vecchia si inserivano in un complesso rituale e simbolico che vedeva in questi riti, come afferma M. Fresta, “gli elementi di un rito agrario pre-cristiano, dove il periodo di rappresentazione coincide con il passaggio dall’inverno alla primavera, … quando la resurrezione del mondo agricolo veniva preparata dal sacrificio cruento di un uomo”. Sebbene questo mondo simbolico e rituale non appartiene già da tempo alla nostra società, tantomeno alla comunità sammarchese, la festa de A Vecchij, come molti altri appuntamenti festivi, ha avuto negli ultimi anni nuova vita grazie al lavoro e alla volontà delle associazioni locali, tra queste “A crap z’è sciot”, che si è fatta carico degli aspetti organizzativi e logistici. Senza entrare nelle dinamiche sociali che hanno caratterizzato la genesi e lo sviluppo della festa nel contesto sammarchese odierno, possono essere evidenziati alcuni elementi. Una delle peculiarità è da ricercare necessariamente nella funzione che il convegno assume nell’economia della festa. L’idea di organizzare un incontro che possa sviluppare una comprensione maggiore della festa, costituisce un punto centrale dell’opera di ripresa a partire dal 2007. Per comprendere questa volontà è necessario sottolineare innanzitutto un cambiamento della natura degli attori sociali protagonisti di queste pratiche: i nuovi portatori sono in genere giovani che maturano il proprio vissuto di esperienze fuori dal proprio contesto di origine. Questo vale ancora di più oggi, dove ad una distanza “spaziale” ne va aggiunta una “socio-temporale”.
Ciò che divide gli attori sociali dai contesti di riferimento simbolico dai quali attingere elementi culturali (che vengono poi ri-assunti e nuovamente elaborati) non è dato solamente dalla diversità di vissuto quotidiano rispetto al passato contadino. La “lontananza socio-temporale” si qualifica nei termini di cesura delle radici contadine passate e dalla volontà di rimozione collettiva di una memoria fatta di sacrificio, difficoltà socio-economiche e sfruttamento. Riprendere e ri-organizzare una festa di matrice contadina si traduce così in bisogno, tanto politico quanto sociale, di ricostruzione comunitaria e di ri-acquisizione di memoria; di ri-contrattazione della storia passata e di messa in discussione dei paradigmi economico-sociali legati alla società del consumo contemporanea. All’interno di questo orizzonte sociale il convegno in primo luogo soddisfa la necessità di comprensione e di conoscenza della festa. In secondo luogo costituisce una forma di legittimazione, tanto interna quanto esterna alla comunità: nel momento in cui si cerca di riprendere o rivitalizzare una festa il riconoscimento da parte di una fonte autorevole (in questo caso l’Università) offre legittimità e conferma la validità del lavoro svolto fino ad oggi. Ponendosi infine come valore aggiunto di un appuntamento che si presenta al territorio, il convegno richiama l’attenzione dei media regionali, i quali a loro volta aumentano il valore simbolico della festa nelle sue molteplici sfaccettature. Nell’ultima edizione, svolta lo scorso 27 marzo, gli interventi tenuti dalle professoresse Laura Bonato, dell’Università di Torino e Francesca Scionti, di quella di Foggia, hanno sottolineato come i giovani, oggi agenti del “rito” della Vecchij, grazie ai movimenti, ai rapporti di collaborazione instaurati nel tempo e alla consapevolezza maturata da una continua documentazione, riescano ad elaborare un prodotto culturale inedito e una riproposta che assume una propria unicità socio-culturale.

Michele Bianchi